Zeki Love

OUR LAST SUMMER TOGETHER, Piccola storia per incoraggiarvi.

« Older   Newer »
  Share  
Uhahu!!!
view post Posted on 12/11/2011, 16:20




Storia a più capitoli scritta da me e dalla mia amica _Sayco.

L'INCIDENTE



Non sono mai stata molto brava a mentire, men che meno sulle cose importanti.
Era mattina.
La sveglia stava suonando.
Io, ancora nel dormiveglia maledissi quel piccolo oggetto che quasi per tutto l’anno interrompeva sul più bello i miei sogni.
Di mala voglia mi alzai dal letto.
Mi diressi verso il piccolo specchio che avevo in camera mia.
Mi guardai.
Avevo un aspetto orribile.
La sera prima avevo fatto tardi ad una festa per la maturità.
Stavo male.
Dovevo aver bevuto un po’ troppo e adesso ne sentivo le conseguenze.
Mi catapultai in bagno per vomitare.
Stavo uno schifo.
Mi sciacquai la bocca e tornai in camera davanti allo specchio.
Non ero ancora totalmente sveglia.
Un sole caldo entrò dalla finestra e mi diede il buongiorno.
Tutto quella mattina sembrava calmo, quasi surreale in confronto al caos della festa della sera prima.
Riportai la mia attenzione allo specchio, nel quale, oltre alla mia immagine, veniva riflessa anche gran parte della mia non tanto grande stanza.
Guardai l’immagine riflessa del mio letto, dal quale rimpiangevo di essermi alzata.
Subito dopo, lo sguardo si posò sul comodino ed in particolare sulla sveglia.
L’orologio digitale segnava le nove ed un quarto.
Mi maledissi mentalmente per aver puntato la sveglia così presto.
Era il mio primo giorno di vacanza! Dovevo essere in forma se dovevo vedermi con il mio ragazzo!
Aspetta una secondo.
ALLLLLLLLLLLLLTTTTTTT!!!!
Mi precipitai verso il calendario che avevo in camera e mi immersi nella marea di post-it attaccati come promemoria.
Cercai la data di oggi.
C’erano solo due bigliettini attaccati.
Il primo rosa con su scritto a caratteri cubitali con la mia scrittura tutta disordinata: VACANZAAAAAAAAA!!!!
Lo staccai e lo buttai a terra senza badarci.
Presi in mano il secondo.
Era un bigliettino giallo a forma di cuore con su scritto:
Da Luca alle 09:30 SVEGLIAAAAA!!!
Mi misi le mani nei capelli, scompigliandoli ulteriormente.
-AHHHHHHHHHHH!!!! –
Penso che il mio urlo arrivò anche all’orecchio di mia madre perché poco dopo sentii una voce proveniente dal basso.
-Lucrezia tutto bene? Ti ho sentita urlare! –
-No mamma, non è niente. –
Le risposi mentre mi immergevo nell’armadio alla ricerca di qualcosa da mettermi.
Ero in super ritardo.
-Proprio oggi dovevo alzarmi tardi!!! –
Presi al volo una maglietta a monospalla verde e dei pantaloncini bianchi con la cintura di un materiale simile alla paglia di cui non mi ricordavo mai il nome.
Me li infilai in fretta e furia togliendomi il sopra del mio pigiamino a scacci bianchi e rossi.
Mi catapultai in bagno dove mi diedi una lavata e cercai di sistemarmi alla meglio i capelli.
Quello che venne fuori fu un specie di chignon tutto scompigliato, con dei capelli che uscivano dal gruppo.
Riguardai l’orologio.
Le 09:20.
Non c’era tempo per sistemarlo.
Buttai in una borsa il contenuto del mio cassetto.
Lucidalabbra, rossetto, fard, fazzoletti, cicche …. un po’ di tutto.
Scesi la prima rampa di scale , ma il trillo del mio cellulare mi fece tornare indietro.
Lo afferrai dal letto insieme al portafoglio e scesi in fretta e furia le scale.
Mancai gli ultimi quatto gradini e caddi.
Mia madre stava arrivando dal dalla cucina con in mano la mia colazione.
Appena mi vide, appoggiò il piatto e corse verso di me per darmi una mano ad alzarmi.
-Cos’è successo? Tutto bene Lucrezia? –
-Si mamma, sta tranquilla. Tutto bene. Sono solo scivolata –
Cercai di rimettermi in piedi con una smorfia di dolore.
Sentivo delle fitte provenire dal punto in cui la schiena aveva toccato la scala.
La mia smorfia non fuggì alla mia preoccupatissima mamma.
-Sei sicura di stare bene? –
-Si, si tranquilla –
Con uno sforzo mi rimisi in piedi.
-Visto? –
Dissi cercando di nascondere il dolore.
-Non mi convinci. Sai che non sei per niente brava a mentire?! –
Ci fu un attimo di silenzio, dopo di che parlai.
-Va bene. Adesso devo andare. Ciao –
Sgattaiolai velocemente verso la porta ma mia madre fu più veloce di me.
Mi afferrò per un braccio, fermandomi.
-Ferma lì signorina! Prima si fa colazione! –
-Ma mamma. Sono in ritardo. –
-Niente ma. O fai colazione o non esci –
Di mala voglia mi sedetti a tavola e feci per mangiare la mia colazione.
Tuttavia mia madre mi fermò ancora.
-Prima la preghiera a Nostro Signore. Recita con me il Padre Nostro –
Sempre la solita storia.
Mia madre è credente al massimo e prima di qualunque cosa recita una o più preghiere.
Va a messa tutti i giorni e la sera si ritaglia due ore per pregare da sola in camera sua.
Tutto questo è cominciato da quando mio padre è morto tre anni fa.
Io al contrario suo non sono mai stata molto credente. Non credo che ci sia qualcuno di più grande lassù. Non credo che tutto dipenda da un disegno preciso che qualcuno ha tracciato per noi.
Credo che siamo noi a fare la nostra storia. Noi e solo noi!
Questo mia madre lo sa bene eppure continua a cercare di convertirmi.
Causa persa in principio.
Finita la preghiera ho mangiato la mia colazione il più in fretta possibile.
Appena finita mi alzai da tavola, andai vicino a mia madre e le scoccai un bacio sulla guancia.
-Ciao. Ora vado –
Presi di consa la mia bolsa ed il casco del motorino azzurro e giallo che i miei mi avevano regalato per il mio sedicesimo compleanno.
Non abito in una città molto grande e in un attimo sia arriva dappertutto.
Come già sapevo mi ci sarebbero voluti solo cinque minuti per arrivare a casa di Luca.
Mi gustavo il tragitto.
Che bella la mia città! Con i suoi palazzi seicenteschi, gli affreschi ancora parzialmente presenti, la gente che si salutava per strada con gioia.
Quando ero bambina, camminando per quelle strade sognavo di poter parlare con le persone che ci avevano camminato un tempo. Con gli abitanti dei seicento. Ed allora mi mettevo ad immaginare le persone che camminavano per strada con i pantacollant ed i vestiti dell’epoca.
Secondo mio padre avevo preso tutto da lui.
D’altra parte cosa dovrebbe fare una bambina figlia di un professore di storia?!
All’improvviso venni riportata alla realtà!
Sentii una donna che gridava.
Davanti a me, come impietrito c’era un bambino di circa otto anni che doveva appena essere sfuggito alla mano della madre.
-Spostati! –
Gli urlai. Ma il rumore del motorino copriva le mie parole.
Cercai di frenare.
Ma evidentemente non avrei fatto in tempo a fermarmi.
Così all’ultimo sterzai violentemente con il motorino.
Cadendo.
Ero a terra sull’asfalto grigio e freddo, in contrasto con il caldo della giornata.
La vista era offuscata, ma riuscii ugualmente a distingue la madre che correva a prendere il figlio.
Svenni.
Mi sveglia dopo poco.
Vidi tanta gente attorno a me.
La mia vista era ancora offuscata.
Una donna si chinò su di me.
-Stai bene? –
La sua voce mi arrivava alle orecchie come se io fossi dentro ad una bolla.
Sentii un uomo che diceva.
-È arrivata l’ambulanza –
Vidi il circolo di persone aprirsi e far passare due uomini con delle tute arancioni e nelle mani una barella.
Non riuscivo a muovere un muscolo.
Mi sentivo talmente debole!
Lasciai che i due uomini mi caricassero sulla barella.
Avevo la bocca semi aperta e gli occhi socchiusi.
Uno dei due uomini si chinò su di me.
-Signorina, si sente bene? –
Non risposi, non ce la facevo.
Riuscii solo a ruotare gli occhi in modo tale da vedere lo stato del bambino che avevo quasi investito.
Fortunatamente stava bene.
Riportai lo sguardo sull’uomo.
La vista si fece annebbiata e poi tutto divenne nero nuovamente.

Quando mi svegliai ero in ospedale, avevo una maschera per respirare e una flebo attaccata al braccio.
La stanza era spoglia e la luci delle lampade ai led mi accecò.
Strizzai gli occhi più volte prima di abituarmi alla luce.
Quando riuscii a mettere a fuoco ciò che mi circondava notai che una persona era addormentata con la testa poggiata sul mio letto e la mano che teneva la mia.
Era mia madre.
Non so come mai.
Se feci qualcosa.
Ma lei si svegliò.
Appena vide che ero sveglia un sorriso smagliante le illuminò il viso e sentii la pressione che le sue mani stavano esercitando sulla mia aumentò.
Volevo chiederle cosa avevo.
Non mi aveva ancora detto niente, ma nei suoi occhi, malcelato, leggevo preoccupazione, non dovuta solo al mio incidente.
Tuttavia non riuscii ad aprire bocca.
Avevo paura che facendole quella domanda avrei suscitato in lei ancora più angoscia.
Fortunatamente a togliermi da quel momento entrò in camera un medico.
Sia io che mia madre ci girammo verso di lui.
-Signora, avrei bisogno di parlare con lei –
Penso che solo in quel momento si accorse che io ero sveglia.
-Oh, buongiorno. Come si sente? Avrei bisogno di parlare un attimo con sua madre se non le dispiace, gliela rubo solo per un attimo –
Non mi accorsi che mia madre stava piangendo fino a quando non la vidi asciugarsi le lacrime con il palmo della mano.
Il vetro che divideva la mia camera dal corridoio non era molto spesso.
L’opacità di quest’ultimo mi permise di vedere le due sagome del dottore e di mia madre; lei se ne stava con le braccia incrociate, pronta a ciò che il medico doveva riferirle.
Il medico stava in piedi di fronte a lei con due dita che si sfregavano l’attaccatura del naso; da come faceva non dovevano essere belle notizie quelle che stava per riferire a mia madre.
Ero curiosa ed il mio letto si trovava vicino al vetro che mi divideva dai due.
Ciò rese il mio compito più semplice. Mi sporsi verso di loro ed appoggia l’orecchio al vetro.
Mi misi ad ascoltare.
Le voci arrivavano leggermente soffocate, ma riuscivo comunque a distinguere cosa dicevano.
-Signora, forse è meglio che si sieda –
-Dottore, cos’ha mia figlia? –
Dopo questa parole ci fu un attimo di silenzio.
-Dottore, ci sono state complicazioni dall’incidente? –
-No signora. No! –
-Allora cos’ha? Me lo dica! –
Mia madre lo stava quasi aggredendo.
-Me lo dica! –
Dalla voce di mia madre capì che doveva ver rincominciato a piangere.
-Facendo alcune analisi di controllo generale abbiamo trovato un carcinoma al fegato –
Vidi mia madre cadere su di una sedia.
-Un carcinoma? –
Cos’era un carcinoma? Qualcuno me lo avrebbe potuto spiegare?
Per la risposta alle mie domande non dovetti aspettare molto.
-Dottore, precisamente cos’è un carcinoma? –
-In parole semplici, abbiamo trovato un cancro nel fegato di sua figlia –
Nessuno dei due disse più niente, o almeno così parse a me.
Difatti, non appena sentii la spiegazione della parola carcinoma caddi in un universo parallelo.
Mi sentivo come se stessi cadendo in un buco nero.
Venivo attirata vero un punto indefinito della mia coscienza.
Continuavo a sentire le voci di mia madre e del dottore.
Pian piano il volume delle loro voci di alzava fino ad assordarmi e stordirmi.
All’improvviso una voce si intromise nelle altra.
Era una voce calda, amichevole.
Mi attirava fuori da quella specie di ciclone.
-Vieni con me. –
 
Top
Uhahu!!!
view post Posted on 19/1/2012, 20:33




UNA VISITA E UNA SCOPERTA



Sono passati due giorni dall’incidente, oggi mi dimetteranno dall’ospedale.
Nessuno mi è ancora venuto a dire quello che hanno scoperto, ma io so tutto, so di avere il cancro.
Mia madre continua a ripetermi che tutto bene; tuttavia penso che lo stia dicendo più a se stessa che a me.
Dal giorno dell’incidente tutto mi pare inutile e senza senso.
I gesti quotidiani, le emozioni, tutto è superfluo.
Tutto alla fine finirà.
Non resterà nulla di quello che si è vissuto.
Le giornate hanno perso il loro colore e la loro vitalità.
Ieri mi sono venuti a trovare la mia migliore amica e il mio ragazzo, loro due mi hanno fatto provare un’emozione, l’unica degli ultimi giorni.
Mi sono stati raccontati gli ultimi sviluppi del mondo esterno a quelle mura impregnate di consapevolezza e di dolore.
Valentina mi è sembrata più solare del solito, aveva una strana luce negli occhi; doveva esserle successo qualcosa di molto bello!
Luca al contrario mi è sembrato strano, sembrava preoccupato, tormentato da un dubbio o un peso.
I suoi occhi erano più spenti del solito.
Ero totalmente assorta nel cercare di capire a cosa stesse pensando il ragazzo che tanto amavo, che non mi accorsi della parole di Valentina.
-Lucrezia, ci sei? Mi stai ascoltando?! –
Mi riscossi da quella specie di trans nella quale ero finita.
Gli occhi di Luca avevano imprigionato i miei, come se volessero comunicarmi ciò che lo tormentava con lo sguardo.
-Si ci sono. Cosa stavi dicendo? –
-Uffa! Perché non mi ascolti mai?! Ti stavo dicendo che i nostri compagni, dopo aver saputo del tuo incidente, si sono organizzati per venirti a trovare, domani! –
Disse quella frase con sul viso un’espressione tra il divertito e lo scocciato.
Con la coda dell’occhio continuava ad osservare Luca.
Questo fece crescere ulteriormente i miei sospetti.
Stetti ancora un attimo a guardarli, poi risposi alla domanda sottointesa di Valentina.
-A me andrebbe anche bene, mi farebbe piacere rivederli! Però penso che non sia possibile –
-E perché no?! –
Valentina cambiò espressione.
Se la prima parte della mia frase l’aveva sollevata, la seconda l’aveva scioccata.
-Non è che non voglia, è solo che domani mi dimettono. Anche se venissero non sarei più qui –
-Ah, pensavo che … Come glielo dico ora?! –
Sembrava quasi dispiaciuta da questo fatto.
Mi sarebbe piacito sapere cosa stava per dire.
Non riuscivo a togliermi dalla testa la convinzione che qualcosa fosse cambiato.
Continuavo a spostare lo sguardo da Valentina a Luca.
Fino a quel momento non ci avevo fatto caso, ma i due continuavano a scambiarsi occhiate furtive, come se si stessero mettendo d’accordo su un argomento fondamentale solo con l’uso dello sguardo.
I miei sospetti continuavano a salire.
Ad un tratto Luca prese la mano di Valentina e intrecciò le dita alle sue.
Cosa stava succedendo?!
Era questa la domanda che mi ero posta fino a quel momento.
Ora finalmente potevo capire.
Un attimo dopo Luca prese la parola per la prima volta.
-Lucrezia, c’è una cosa che ti dobbiamo dire –
A questa frase seguì un attimo di silenzio interminabile e pieno di consapevolezza.
Il mio cuore iniziò a pompare il sangue più velocemente.
In quel silenzio sentivo tutta la verità che quelle parole esprimevano.
Le mie orecchie non percepivano suoni, ma il mio cuore esplodeva di parole non ancora dette.
-Vi lascio da soli –
Luca spostò il suo sguardo da me a Valentina che poi gli lasciò la mano ed escì dalla stanza.
Restammo soli.
Seguì il silenzio.
Stava per parlare.
Non volevo sentirlo da lui, quindi intervenni.
-Nei sei innamorato, non è vero? –
A sentire le mie parole vidi la sorpresa far capolino sul suo viso.
Non c’era nemmeno bisogno che mi rispondesse.
Abbassò la testa e quando cercai di incrociare i suoi occhi lui distolse lo sguardo.
Delle lacrime mi giunsero agli occhi.
Cercai di trattenerle, ma inutilmente.
Una goccia di pianto scappò al mio controllo e aprì la strada a tutte le altre che presto mi inondarono le guance.
M portai le mani agli occhi coprendoli.
Mi portai le ginocchia al petto, chiudendomi a uovo su me stessa.
Volevo sparire.
Volevo che tutto quello che mi circondava scomparisse.
Volevo che tutti quelli che mi circondano scomparissero.
<< Vieni con me >>
<< Chi sei? >>
<< Vieni con me >>
La voce si affievolì.
<< Seguimi >>
<< Aspetta! Non ti vedo! >>
Di colpo entrai in uno spazio senza piani.
Il buio era tutto.
Il buio era l’unica cosa.
Mi sembrava di essere in una di quelle stanze per pazzi.
Tutto quel buio mi opprimeva, ma in qualche modo mi faceva sentire a casa.
Dal buio si divulgò una luce.
Una porta era stata aperta e una luce bianca proveniva da essa.
Quando questa porta fu aperta di più, la luce giunse fino al punto in cui mi trovavo, creando una specie di corridoio luminoso.
<< Vieni da me >>
<< Dimmi chi sei! >>
<< Davvero non mi riconosci? >>
<< Perché dovrei >>
<< Perché sono tuo padre Lucrezia >>
<< È impossibile! Mio padre è morto tanto tempo fa >>
Il mio sguardo era rivolto a terra, verso la luce.
Volevo toccarla, ma avevo paura che al mio tocco si sarebbe ritirata, se non addirittura scomparsa.
All’improvviso un’ambra deturpò la perfetta distesa di luce.
Era la sagoma di una persona.
Un uomo.
Era alto e magro e teneva i capelli corti legati in una piccola e corta coda alla nuca.
Alzai lo sguardo e lo posai sulla figura che stava in piedi alla porta.
La luce era talmente forte che mi divetti portare un braccio davanti agli occhi e socchiudere gli stessi, cercando di mettere a fuoco la figura.
Rimasi di sasso.
Mi ghiacciai.
Lo stupore mi fece spalancare gli occhi.
Il nuovo arrivato levò una mano verso di me.
Di colpo la distanza tra me e la figura si accorciò notevolmente.
Avevo l’impressione che, alzando il braccio, avrei potuto toccare le sue dita.
Pian piano e con timore sollevai la mano.
Stavo per toccarlo.
Quando lo spazio tra le nostre dita stava per annullarsi il volto di mio padre si tramutò, cambiando aspetto.
In un attimo, quella persona che per me era stata tanto cara, si tramutò nel ragazzo che tanto mi stava facendo soffrire.
Ritrassi di scatto la mano.
Le misi a croce sul mio petto, come per proteggermi.
Il respiro mi si fece corto.
I miei polmoni non ricevevano più aria.
Non respiravo.
Oltre tutto, un dolore profondo mi giungeva dal cuore.
Con tutta me stessa desiderai scappare da li.
Alzai lo sguardo e con fatica lo guardai negli occhi vivaci.
Volevo essere tra le sue braccia e non li per terra.
Volevo sentirmi al sicuro.
Volevo sentire che lui era ancora mio.
Piano mi avvicinai e la figura mi strinse tra le braccia.
Ero felice.
Avevo già dimenticato tutto ciò che era successo.
Volevo dimenticarlo.
Avevo bisogno di dimenticarlo.
La figura mi accarezzò piano la testa, un gesto che mi aveva sempre calmata.
All’improvviso lui cambiò.
Tornò il ragazzo di adesso, quello che mi aveva lasciata per la mia migliore amica senza pensarci due volte.
Mi scansò bruscamente da se.
Perché? Perché faceva così?
Cercai nuovamente di avvicinarmi a lui.
Avevo l’impressione che se fossi riuscita a raggiungerlo lui sarebbe tornato da me.
La distanza tra di noi si fece nuovamente ampia.
Non sopportavo tutto quello.
Il mio cuore stava per scoppiare.
Faceva male.
Male.
Male…
Avevo bisogno di una soluzione e l’unica che la mia mente mi suggeriva era che dovevo raggiungere il ragazzo.
Feci qualche passo in avanti.
La distanza non diminuiva, anzi, sembrava aumentare.
Il dolore continuava a crescere.
Mi misi a correre.
Ero quasi arrivata al limite della sopportazione.
La distanza cresceva, cresceva, cresceva ….
Aumentai il ritmo della corsa.
La figura era sempre più lontana.
Ormai era un punto in lontananza.
Sempre correndo tesi una mano verso il ragazzo.
<< Nooooo …. >>>
Svenni.
Mi sentivo scuotere.
Pian piano aprii gli occhi.
Una luce tenue filtrava dalla finestre.
Due ombre erano accanto al mio letto.
Una delle due, quella più vicina, mi teneva per le spalle dandomi delle piccole scosse.
Incentrai la mia attenzione su quest’ultima.
Piano la misi a fuoco.
Quando riconobbi la figura mi buttai tra le sue braccia senza pensarci troppo.
Il ragazzo rimase un attimo interdetto.
Quanto mi mancava la sensazione di un suo abbraccio.
Premevo la testa contro il suo petto.
Le lacrime continuavano a scendere dai miei occhi.
Non volevano fermarsi.
Sentii le sue mani posarmisi sulle spalle ed ebbi paura che mi allontanasse.
Mi sorpresi parecchio quando sentii che mi stava abbracciando.
Posò il suo viso sulla mia testa e mi baciò sui capelli.
Subito dopo mi allontanò.
Cercai il suo sguardo, ma lui continuava a tenerlo basso.
Ormai avevo capito.
Non avrei mai potuto riprendermelo.
Ormai era veramente finita.
Il mio cervello lo sveva accettato, ora, dovevo convincere il mio cuore.
Solo in quel momento distinsi l’altra figura.
Valentina era li, di fianco a me, si sporgeva in avanti. Un ginocchi poggiato sul letto in modo da venirmi ancora più vicina.
I suoi occhi trapelavano preoccupazione.
Piano sollevò la mano e mi asciugò gli occhi.
Nessuno disse una parola.
Me ne stavo li, seduta sul letto.
Vedendomi in quello stato Valentina mi si avvicinò.
Si sedette di fianco a me e mi abbracciò.
In quell’istante desiderai cacciarla.
Desiderai che morisse.
Questo momento durò poco.
Dopo pochi attimi, la ragazza si staccò da me.
In quell’istante i suoi occhi e quelli di Luca si incontrarono.
Continuai ad osservarli.
Nei loro sguardi lessi una felicità senza pari.
Un senso di malinconia mi avvolse.
L’invidia che avevo provato svanì.
Mi sentii incredibilmente stupida.
Come avevo potuto desiderare la morte della mia migliore amica?!
Ero una vigliacca.
Avevo paura di ciò che sarebbe successo.
Avevo paura di rimanere sola.
Non volevo, anzi non potevo affrontare tutto quello che stava succedendo da sola.
-Lucrezia, noi andiamo se non ti dispiace –
Quella frase mi riscosse dai miei pensieri.
Guardai verso la finestra.
Si era fatto buoi.
Doveva essere passato molto tempo da quando ero entrata in trans.
Spostai lo sguardo sui due ragazzi.
-Si, andate pure. Mi ha fatto piacere vedervi –
Non era del tutto falso.
Mi costrinsi a fare un sorriso e a renderlo il più veritiero possibile.
Il loro sguardo tuttavia era ancora preoccupato.
Avevo paura che si sentissero in colpa per il mio stato d’animo.
Volevo rassicurarli, ma non ci riuscii.
Il quel momento Luca prese la parola.
-Va bene, allora ….. ciao –
Non risposi.
Uscirono dalla porta.
-Ciao –

 
Top
1 replies since 12/11/2011, 16:20   29 views
  Share